Firenze – Primavera 1938
Pasqua è vicina, come lasciano intuire le vetrine dei negozi che espongono i simboli del salvifico sacrificio di Cristo e della sua resurrezione, come testimonia quest’aria tiepida che invita alle prime passeggiate la sera, lungo il corso dell’Arno, alla luce chiara dei lumi a gas, schierati dritti come soldati al passaggio dello spensierato viandante. C’è un profumo di fiori che inebria in questa primavera fiorentina, che aliena la mente da certi sinistri presagi di morte.
Così non ti accorgi che la tua bella città si sta preparando ad accogliere un demone: tutto si piega al nuovo sovrano infernale che vuole per sé quei rossi striscioni con croci nere uncinate, che sta arrivando con un frastuono assordante di ferro …. Non puoi nemmeno immaginare che domani sarai tu quella farfalla che accecata dalla luce del lampione, cade rovinosamente a terra e rimane schiacciata. Domani sarai lì anche tu, a salutare l’osceno lucifero perché così ti hanno comandato, tu lo farai con leggerezza, pensando a un diversivo senza alcun peso…
Ed ecco che quel frastuono che sentivi da lontano, arriva con le sembianze di un diavolo infuocato gettando in un abisso senza fondo la dignità dei tuoi concittadini, di te, di qualunque essere umano.
Così stasera, in quella bella villetta sul lungarno, c’è un gran fermento, sospiri, pianti, invocazioni alla giustizia eterna. E’ una casa elegante quella della famiglia del direttore della galleria di Pitti, stimato mecenate di giovani talenti, collezionista raffinato, serio studioso dell’arte di ogni epoca.
Da tempo è amico di un giovane pittore non ancora affermato, a molti pare strambo, con i suoi manichini, la metafisica che unisce a studi sul Rinascimento… Il professore l’ha ospitato e quello in cambio gli ha donato opere straordinarie sperando in fondo in fondo che il direttore e critico affermato lo aiuti a emergere e a guadagnare qualche soldo.
Ma purtroppo la legge del malvagio malfattore sta già mietendo vittime: il professore ebreo non può restare, deve lasciare il suo lavoro, deve sparire.
Elide, la domestica, si affanna a impacchettare le suppellettili più belle, i quadri preziosi raccolti con amore da una vita. – Deve scomparire tutto nel più breve tempo – tuona il capofamiglia. Giù, in fondo alle scale c’è per fortuna un provvido sotterraneo che nessuno potrà mai scoprire, coperto da una botola, nascosta sotto la pesante scrivania dell’elegante studio.
Così, la bella villetta ottocentesca, con vista sulla piazza Poggi abbandona in breve tutta la sua vitalità, il calicanto e le camelie, là fuori, adornano con tristezza il solitario giardino dei loro odori morbidi, lasciando che la speranza si cibi di quella scia soave di profumo che abbraccia da ora in poi, solo fantasmi.
Intanto Lucifero avanza, gli scarponi chiodati si abbattono pesanti sui cuori della gente, su una città che freme di paura, che tiene stretti in grembo i suoi tesori, che li nasconde a quella bramosia famelica che incombe.
Tutto resta sospeso.
Per anni e anni sarà desolazione e morte, non ci sarà bellezza da ammirare, solo macerie e pianto.
……..
Mentre scorrevo queste parole, scritte su una paginetta a righe, strappata maldestramente da chissà quale quaderno appartenuto a uno sconosciuto scrittore, nel silenzio della biblioteca carica di polvere, con le pagine di manoscritti e libri rari rosicchiati dai topi, mi cadevano calde lacrime, soffrivo di quel lontano dolore altrui e non serviva a niente che mi ripetessi “tu sei una detective, devi esser forte, la commozione non fa per te…” Parole al vento in quel momento di commozione autentica.
Eppure sono una professionista da decenni, nella mia lunga carriera ho risolto casi importanti, che hanno riempito le cronache e a causa dei quali mi sono spesso trovata a tu per tu con gente senza scrupoli, pronta anche a uccidermi pur di non farsi smascherare.
Chi mi conosce mi definisce Bianca, la sbroglia – misteri. Dicono che sono dura come il marmo, ma dal cuore tenero come una pralina. E’ proprio così, ogni caso lo affronto con passione, sono caparbia, perciò finché non ho sbrogliato la matassa del mistero, mi pianto nel mio ufficio notte e giorno, medaglia d’oro allo stakanovismo! Sono spietata contro i malfattori, però mi sciolgo in calde lacrime per la vittima che soffre.
Sono specializzata in furti d’arte, piaga antica, mai interamente risanata.
Mi trovavo a Firenze per la Venere al bagno (quella autentica dico) perché quella che sta presso il laghetto della reggia di Caserta è un falso! Se n’è accorto un turista esperto che conoscendo bene l’opera, sapeva che il capo è rivolto a destra. Quella a Caserta, ahimè, guarda a sinistra.
Ricevetti l’incarico di occuparmi di questo grave furto e subito le indagini mi condussero a Firenze.
Pareva infatti che lì vi si trovasse la sede di una associazione criminale di falsari e ladri di opere d’arte, in stretto contatto con un miliardario emiro arabo il quale è sempre stato pronto a versare cifre astronomiche per statue e quadri antichi. E’ un malfattore, disposto a corrompere qualsiasi autorità costituita tramite pesanti bustarelle. Lo stesso emiro commissiona anche i “falsi” da collocare al posto delle opere autentiche, pagando lauti onorari.
Mi trovavo in quella villetta, per la soffiata di un pentito chiuso nel carcere di Napoli. L’uomo lavorava per l’emiro in questione come falsario, ma fu beccato proprio mentre sostituiva un’opera autentica con la sua copia. Pareva che la famosa statua di Venere fosse nascosta proprio lì da qualche parte… Approfittai dell’assenza degli abitanti della casa per perlustrarla accuratamente servendomi dei miei fidati “ferri del mestiere”: torcia, lente d’ingrandimento, grimaldello, coltellino svizzero, il mio fidato cagnolino Roberto, dall’infallibile fiuto. Era una casa elegante, arredata con gusto, zeppa di quadri alle pareti, soprammobili raffinati, statue di pietra, marmo, legno…Ma la più bella stanza era la biblioteca, con gli scaffali in legno di massello, armadietti a mo’ di ripostiglio, sedie dalle sedute in damasco, un tavolo a fratina grande e possente. I libri erano tanti, sistemati in un ordine a me oscuro e poi c’erano molti documenti, tutti riconducibili a studi d’arte. Era sicuramente quello il nascondiglio della statua di Venere, ma dove si trovava quell’opera grandiosa? Il galeotto aveva parlato di un sotterraneo, forse in giardino? Uscii ed esplorai quell’ambiente verdeggiante, profumato dei mille fiori che crescevano dovunque, abbellito di fontanelle e di laghetti. Ma sotto il manto verde, niente.
Mi sedetti sconsolata su un gradino e fu a questo punto che mi ricordai di Roberto, il mio fidato cagnolino: dove si era nascosto?
Lo cercai chiamandolo a gran voce per tutta la casa, percorsi affannosamente le scale in su e in giù più di una volta, finché lo vidi spuntare spavaldo dal ripiano del secondo scaffale della biblioteca; si stava divertendo ad inseguire un vivace topolino. Quando mi vide, spiccò un salto facendo rovinare a terra decine di volumi; fu così che rinvenni quel foglietto che mi commosse e mi aprì gli occhi nello stesso tempo. Da uno di quei libri giacenti spaginati a terra, spuntò appunto il biglietto.
Che si trattasse di un indizio?
Ero profondamente turbata, ma la mia professionalità mi ingiungeva di leggere ancora quelle parole così commoventi…
Appena ebbi ritrovato un minimo di fredda professionalità estrapolai queste parole chiave: … c’è per fortuna un provvido sotterraneo che nessuno potrà mai scoprire, coperto da una botola, nascosta sotto la pesante scrivania dell’elegante studio.
Immediatamente spostai il cumulo dei libri scompostamente a terra, liberai così il pesante tappeto, imbiancato da una polvere spessa e lo alzai provocando una bianca cortina di nebbia. Intravidi una fenditura tondeggiante nel legno irruvidito del parquet, ma c’era sopra quel pesante tavolone in massello. Spinsi con forza fino a farmi male e finalmente apparve il nascondiglio.
Roberto mi precedette sulla stretta scaletta a chiocciola dai gradini scricchiolanti, in molte parti umidi di muffa. Non si vedeva quasi niente, ma per fortuna avevo la mia torcia che appena accesa mi rivelò un ambiente surreale. Era una specie di d’imbuto a cui accedevi passando dal fondo, percorrevi un lungo corridoio e arrivavi in una stanzetta rotondeggiante. Il pavimento pareva scavato nella viva pietra, le pareti, anch’esse in pietra, trasudavano umidità e costituivano il ricovero ideale per i topolini divoratori di legno e carta che avevo intravisto nella biblioteca. Per terra erano accatastate decine di scatole di varie dimensioni, malconce e maleodoranti per la troppa umidità.
Ero esterrefatta; tirai fuori il mio coltellino svizzero e iniziai ad incidere gli imballi per esaminarne il contenuto. Roberto con le sue zampette mi aiutò notevolmente raspando e togliendo la paglia dagli scatoloni che via via aprivo.
Spuntarono fuori posate d’argento, servizi di piatti di fine porcellana, soprammobili di cristallo, di peltro, d’argento. E poi le foto incorniciate di una famiglia felice: due figli adolescenti, padre, madre, tutti sorridenti al piazzale Michelangelo, con alle spalle la cupola del Duomo. E ancora l’album di un matrimonio, il ritratto dei nonni, quello di un cane lupo…
Ero commossa, ma la vera emozione, quella forte, l’ebbi quando dall’ennesimo scatolone saltò fuori un quadro che conoscevo bene perché era stampato su tutti i manuali di storia dell’arte, segnalato come “disperso” insieme a tanti altri dello stesso autore, Giorgio De Chirico.
Avevo il fiato corto, sudavo freddo, non potevo crederci: stavo riportando alla luce quel patrimonio immenso sepolto dall’odio della guerra che tutti i miei colleghi cercavano da anni.
E apparve Alexandros, il ritratto di Elide, quello della signora Forti, un bozzetto per l’Anfitrione, il taccuino degli schizzi del grandissimo pittore….
Pareva di sognare. Cercai febbrilmente il telefonino in una delle innumerevoli tasche del mio parka verde militare per comunicare al direttore del giornale che solitamente informo, la sensazionale scoperta; andai sui “preferiti” e con il dito tremante per l’emozione forte, lo chiamai. All’altro capo il ricettore non riusciva più a parlare: – Questo è uno scoop mondiale – urlò distruggendomi il timpano – Mandami subito le foto che poi invio il mio cronista in loco!
In quel frangente sentii dei passi sopra la mia testa. Spaventata mi rimpiattai dietro uno scatolone vuoto pensando ai malfattori. Si affacciò alla botola del sotterraneo un faccione barbuto con un cappello dalla visiera lucida sormontata da un fregio dorato. Allungò la mano e si presentò con il tesserino d’ordinanza “carabiniere scelto Mario Bianchi”. Mi intimò di salire in superficie e di mostrare i documenti.
Ero confusa, irritata, non capivo cosa stava accadendo.
Il carabiniere mi spiegò che quella era una casa privata il cui proprietario era un noto imprenditore fiorentino che l’aveva acquistata ad un’asta alcuni anni prima. L’uomo, ricchissimo, non l’aveva mai abitata, preferendo trascorrere gran parte dell’anno in un emirato arabo.
La casa però era piena di telecamere nascoste, collegate con la sede dei carabinieri. Ecco perché erano intervenuti subito!
Le parole del tutore dell’ordine mi fecero riflettere, le confrontai con le parole del “pentito” e in breve tirai le somme giungendo così alle mie conclusioni: Il padrone dell’appartamento non poteva essere che il “cervello” della banda dei ladri di opere d’arte che cercavo, per questo andava spesso negli emirati!
Ma come potevo dimostrare di aver ragione?
Mi alleai con il carabiniere spiegandogli chi ero e perché mi trovavo in quella villetta, quindi lo pregai di aiutarmi a trovare la “prova regina”: la Venere al bagno.
Insieme ci mettemmo alla febbrile ricerca dell’opera, cercammo in lungo e in largo, per ore ed ore, ma quando ormai stavamo per darci per vinti, notai un bigliettino che spuntava fra i documenti accatastati sul tavolo della biblioteca. Mi caddero le braccia quando lessi:
“Carissimo, la Venere è arrivata sana e salva. L’ho sistemata nel giardino pensile, accanto al laghetto con i cigni. Ti allego un biglietto aereo, così potrai vederla con i tuoi occhi.
Grazie
Il tuo amico Amir”
Fui colta da un’amarezza profonda: la mia perspicacia mi aveva fatto risolvere l caso, ma la statua era in mano ai delinquenti, in un giardino che non le si addiceva.
In quell’istante squillò il telefonino: era il mio amico giornalista al quale raccontai com’era andata e confidai lo stato d’animo in cui ero.
Quello mi dette della matta – Ma cosa dici, tu sei un’eroina, hai ritrovato tutti i De Chirico che pensavamo ormai perduti, ho già informato il Ministero, arriverà una Commissione di esperti lì a Firenze che restituirà ufficialmente al mondo quelle opere stupende. E in quanto alla Venere, tranquilla: C’è un accordo con la Polizia di Dubai per acciuffare i ladri e riportare la statua nella sua Caserta.
Mi rincuorai ed abbracciando forte il mio Roberto, gli dissi compiaciuta: – Siamo una coppia di detectives davvero sopraffina!
Il giorno successivo la mia scoperta era la prima notizia di ogni telegiornale e fu una gioia immensa.
La casa sul lungarno è stata requisita e, aperta a tutti, mostra con grande orgoglio i De Chirico che aveva nel suo grembo, adesso ritornati a nuova vita.