DONNE IN EQUILIBRIO

fra gli anni ’50 e ’60

FUNAMBOLA

Accidenti, non ho mai il tempo per finire di leggere il mio romanzo preferito su Grand Hotel!

Sono appena tornata dalla fabbrica ed eccomi pronta in cucina, col grembiule allacciato, a preparare la cena.

Sarà, ma forse era meglio una volta, con quella vita calma e tranquilla fra le mura di casa come viveva mia madre…

Certo io oggi posso dire di essere al pari di Mario, il mio uomo. Ho un lavoro, uno stipendio, se mi impegno posso fare carriera, e tanti sfizi me li posso levare senza chiedere a lui…

Io lavoro in un calzaturificio molto importante, facciamo scarpe per le dive, per i capi di Stato… Dicono tutti che siamo un grande esempio di imprenditoria italiana, tanto che la padrona ha preso un sacco di premi.

Beh, i miei più sentiti complimenti, ma se non ci fossimo noi operaie a rifinire suole e tomaie, li prenderebbe lo stesso i premi la signora?

Questi pensieri si accalcavano sgomitando nella testa di Rosa, mettendola con prepotenza a tu per tu con la realtà della sua esistenza.

Rosa, quarant’ anni, un marito, due figli, una piccola casa in affitto nella periferia della grande metropoli, lui e lei con un lavoro sicuro.

Ormai siamo quasi negli anni ’60 e la famiglia di Rosa, come quella di tante altre donne, è modellata su stili tutt’altro che autoctoni, ma assai più affascinanti, abbaglianti, anche se, talvolta illusori. Stili copiati a quel mondo lontano, oltreoceano che dopo aver guidato l’Occidente alla vittoria, lo ha condotto per mano nel suo castello incantato.

Quel giorno in fabbrica c’era stato un Consiglio dove si era discusso dell’imminente sciopero contro il caro vita e per la tutela delle lavoratrici – madri. Rosa aveva partecipato con grande interesse, ascoltando attenta le argomentazioni delle colleghe più intraprendenti, condividendo quelle idee progressiste che proponevano congedi lunghi in caso di necessità per i figli e pensione in anticipo per le donne sposate e con prole. Ma intanto il suo cuore batteva convulso per i suoi due bimbi piccoli affidati a quella vicina gentile che lei doveva suo malgrado sfruttare. Appena l’attivo di fabbrica era finito, Rosa era corsa a prelevare i figli e poi con affanno crescente, era giunta a finalmente a  casa.

Appena varcata la soglia, un sentimento di orgoglio smisurato l’aveva pervasa: che casalinga perfetta che era! Tutto splendeva: la plastica del tavolino, le sedie dalle gambe cromate, i portavasi in moplen; la cucina dal lucido piano di formica immacolata e il bagno, piastrellato a mosaico quasi fino al soffitto, emanavano un profumo intenso di varichina, segnale di igiene perfetta.

Rosa a quel punto avrebbe voluto sprofondarsi nell’accogliente divano di similpelle, accendere la magica finestra sul mondo che troneggiava con le sue lunghe antenne sopra un centrino ricamato e abbandonarsi al meritato ozio dopo una giornata di duro lavoro.

Questo del resto era quanto faceva il marito rincasando la sera.

Ma lei, la regina di casa, non doveva mollare, occorreva ancora impegnarsi,

“trottare”, accudire i bambini, preparare la cena, stirare…

Lei aveva obbedito, attendendo al suo ruolo con remissiva solerzia. Ma nella testa molteplici interrogativi, considerazioni stravaganti, eppure senza dubbio plausibili, si facevano largo con prepotenza.

La funambola, provetta acrobata del circo della vita, quella sera oscillava pericolosamente, interrompendo il proprio ritmo di sempre.

…La casa è il riflesso delle persone che vi si trovano dentro, dell’amore che mettono nelle cose. La casa à come una persona: se non ci si comporta con disciplina e amore, tutto si disintegra.

…La femminilità è l’aspetto più nobile ed aristocratico che noi donne abbiamo. Parlo della gentilezza, della pacatezza …

Credo che le donne debbano sempre mantenere un tocco di femminilità in ogni occasione…

L’imprenditrice della fabbrica dove Rosa lavorava aveva parlato così un giorno che era andata a trovare le sue operaie. Le aveva esortate a lavorare con passione, ma poi aveva aggiunto quelle affermazioni utopiche per quelle come Rosa che intanto si era messa a lucidare lo specchio in bagno, dove vedeva una persona scarmigliata, che con le maniche rivoltate fino ai gomiti faceva movimenti ruvidi, aggressivi.

La donna percepiva un senso forte di inadeguatezza: moglie, madre, lavoratrice fuori casa, massaia, contabile attenta, i molteplici volti riflessi in quello specchio risultavano opachi, distorti, privi di effettiva corporeità.

Tutto si disintegra

Soltanto quelle tre parole adesso andavano e venivano come onde di un mare prima della tempesta nella mente di Rosa.

No, lei non era ago della bilancia, regina della casa e operaia solerte, non sapeva conservare l’”innata femminilità” mentre dava la cera, non rispettava quei “comandamenti” espressi con chiarezza dall’illustre imprenditrice, nonché da tutta la pubblicità: essere sempre in forma, sorridente, attiva dentro casa e al lavoro; saper cucire, ricamare, lavorare a maglia; conoscere i fondamenti principali dell’economia, progettare, aggiustare, prendere qualunque decisione con risolutezza. Ma s’intende, sempre con i tacchi a spillo, il vestitino con la gonna a palloncino e due labbroni rossi a cuore.

 Rosa era ormai un automa, sul sottofondo allegro dei bambini che giocavano insieme, continuava ad affannarsi senza sosta, ogni tanto dava uno sguardo all’orologio. Fra breve Mario sarebbe tornato e la cena doveva essere pronta. Lui, affranto per il duro lavoro in fabbrica, si sarebbe inquietato se non avesse trovato tutto pronto.

Quella sera il marito rientrò affamato, dal divano su cui si era gettato, chiese a gran voce: Che c’è da cena??

Nessuno gli rispose.

Rosa, con la prole, se n’era andata lasciando un biglietto sul tavolo di formica, in cucina.

Mario carissimo, ho perso l’equilibrio, cambio vita.

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