EVA
Eva era una donna di cinquant’anni, laureata in Legge a pieni voti, avvocato civilista affermato e ben pagato. Viveva nella popolosa e frenetica metropoli milanese, in un appartamento situato all’interno di uno di quei famosi grattacieli con le facciate ricoperte da giardini verticali.
La sua vita era frenetica: sveglia all’alba – jogging di un’ora nei viali del vicino parco rionale – colazione a base di spremuta d’arancia, cornetto e caffè, – ufficio- palestra – spuntino – ufficio – aperitivo con qualche conoscente – rientro – doccia – televisione – dormire. Il giovedì, in pausa pranzo, la consueta seduta dall’estetista e il venerdì, il parrucchiere.
Eva viveva da sola nell’appartamento spazioso, perché per un compagno e dei figli non c’era più stato tempo, ma di amici sì che ne aveva! Si incontravano spesso…su Facebook o TikTok.
Insomma, per la donna in carriera, la vita assomigliava ad una corsa in Ferrari, con tutto un mondo là fuori che scorreva confuso, intangibile, alla velocità di 200 chilometri orari. E lei, solitaria pilota, era ammirata da tutti, qualche volta temuta, ma soprattutto vista come professionista molto, molto stimata.
Lei, completamente assorbita nel ruolo, si sentiva appagata e godeva, pavoneggiandosi nei sui abiti firmati, ogni volta che la si menzionava definendola “ottima professionista, femmina seducente e altera”.
Nessuno mai l’aveva vista cedere a qualche emozione, tanto che in molti si domandavano se interpretasse un copione, se avesse una doppia vita, quella pubblica e quella privata. Si chiedevano in tanti se nella seconda si abbandonasse alle più umane emozioni, se piangesse, ridesse, se avesse per caso mai provato l’amore.
Da qualche tempo Eva aveva dovuto separarsi dal suo abituale compagno d’ufficio, un integerrimo avvocato molto più anziano di lei, sempre elegante nei suoi completi blu, grigi o beige, secondo la stagione e perennemente profumato di un fresco dopobarba che la donna adorava. Fra i due c’era sempre stata reciproca intesa, ma mai un’avance da parte dell’uno o dell’altra, mai una battuta scherzosa, mai un’apertura al di fuori dagli argomenti riguardanti il lavoro. La coabitazione era così andata avanti per anni, finché lui un giorno annunciò che sarebbe andato in pensione. Eva non aveva mostrato nessuna emozione a quella notizia: un mezzo sorriso, una stretta di mano, un buona vita caro collega, di circostanza.
Eppure nei giorni seguenti, senza quel profumo invadente di lui, Eva sentiva uno strano disagio, un insolito spaesamento, come se a un tratto tutto le fosse parso un po’ estraneo. Non le piaceva questo suo cedimento e non volle indagarne i motivi…Invece da quel momento si buttò sempre più a capofitto nel proprio lavoro, conseguì una serie di successi che le valsero nuove ovazioni.
Intanto in un angolo buio dell’inconscio di Eva, giaceva repressa l’altra parte di lei.
Passò qualche tempo, prima che la scrivania già utilizzata dall’integerrimo avvocato ormai pensionato, venisse nuovamente occupata.
Arrivò infine una coetanea di Eva, molto diversa da lei: abbigliamento sportivo, pochissimo trucco, capelli lunghi liberi sulle spalle. Eva accolse la nuova collega con algide parole di benvenuta che furono subito ricambiate dall’altra con un largo sorriso, una forte stretta di mano e l’avvio di una narrazione che si preannunciava lunga, di sé, troncata sul nascere da Eva con un secco Piacere, ma devo mettermi al lavoro!
Seguirono giorni duri e stressanti per l’avvocato in carriera, incapace di arginare il fiume in piena di discorsi sul proprio vissuto da parte della nuova coinquilina dell’ufficio. Suo malgrado, era venuta a sapere che Gloria (anche il nome le appariva inadeguato, supponente, sciocco) viveva in periferia, aveva un marito e due figli. Il suo lui era un medico di famiglia, coscienzioso, impegnato seriamente nella propria missione. Per Gloria aveva mille premure, la amava moltissimo e lei sbandierava senza pudore quel sentimento prezioso confessando che contraccambiava altrettanta passione e che era felice.
I bambini poi, erano al centro di ogni discorso: si trattava di due ragazzini pieni di vita, quasi impossibili da gestire, a detta di Gloria: vivaci, svogliati nello studio, ma capaci ed assai intelligenti, due preadolescenti con tanto di brufoli e prime cotte, rompiballe adorabili per quella madre così logorroica, odiosi individui da dimenticare, per Eva.
-Oggi ho trovato un regalo stupendo sul mio comodino quando mi sono svegliata! Sai è il mio compleanno e lui se ne è ricordato. Che caro, che uomo ho sposato! Eccolo qua il suo regalo, guarda, guarda che bello!
Gloria tentennava il polso a pochi centimetri dal naso di Eva facendo guizzare qua e là il falso bagliore di posticci diamanti montati su argento.
–Accidenti che regalone importante! Osservava Eva falsamente ammirata.
-Ma come fa questa scema ad esser contenta, che orrore ricevere falsi diamanti, che provinciale, che donna mediocre; come fa ad essere felice con un marito così, no, no, meglio esser sole. Pensava dentro di sé.
E sui figli, c’era sempre da parlare di scuola: il compito di matematica andato male –Certo Leo, il mio ragazzo maggiore, aveva studiato, ma la prof. Ha creduto che avesse copiato… L’interrogazione del giorno prima – Che bravo il mio Tom, il piccino, all’interrogazione di Storia sapeva tutto per filo e per segno, è tale e quale a suo padre….
Oppure Gloria confidava alla malcapitata dirimpettaia le prime pene d’amore di questo o quel figlio:
-Avessi visto che carino il mio Leo quando si è avvicinato alla compagna di classe con il mazzolino di fiorellini in mano, era tutto rosso! Che emozione, sono proprio orgogliosa del mio bambino!
-eh, lo credo! Sei una mamma fortunata – ribatteva Eva fissando la collega come si guarderebbe una lumaca nel piatto dell’insalata.
-Che stupida chioccia senza pudore –pensava invece l’imperturbabile avvocato dentro di sé.
-Scommetto che è una di quelle che passa le ore libere in casa a fare la calza, scommetto che la mattina non va a camminare per essere in forma, ma preferisce stare a scaldare latte e caffè al marito e ai due figli…
Infatti era proprio così: Gloria stessa affermava di vedersi un po’ fuori forma perché non poteva andare in palestra: la famiglia assorbiva tutto il suo tempo. Ma aggiungeva: –Sono felice lo stesso, in fondo è l’amore che conta. E’ il poter condividere più tempo possibile con coloro che ami. Anche il lavoro è importante ma non mi interessa diventare ricca e famosa.
Eva ascoltava in silenzio, mostrando di sé la faccia di quella che approva, ma dentro pensando all’abisso che divideva la sua esistenza dall’altra, a quanto fosse diverso da quello di Gloria il ruolo che lei si era scelto.
Ma un giorno avvenne un evento imprevisto che cambiò l’esistenza di Eva…
La rampante professionista ebbe un malore improvviso durante il suo jogging giornaliero nel parco. Fu ritrovata priva di sensi lungo il viale alberato che percorreva ogni mattina di corsa per tenersi in forma perfetta.
Era un mattino di primavera, con un tiepido sole che baciava, appena sfiorandolo, il suo volto sbiancato.
I medici del Pronto Soccorso sentenziarono: “esaurimento nervoso da forte stress forse causato da eccessivo lavoro”.
Trascorsero lunghi mesi di cure fra gocce, pasticche, sedute dal neuropsichiatra.
Eva viveva in un limbo di nebbia dove ogni cosa diluiva i propri contorni e si fondeva con altre figure diverse; immagini familiari, ma molto lontane nel tempo, della vita di Eva, irrompevano a tratti facendola piangere. Ogni tanto un bagliore svelava il volto di conoscenti ormai sepolti in un passato remoto, eppure percepiti adesso come molto importanti.
Lei brancolava sperduta, spaurita; la sicurezza ostentata per anni si era dissolta durante un allenamento di corsa a passo lento.
Fatale presagio di un cambiamento di marcia imminente, forse più consono al suo autentico temperamento che da chi sa quanto tempo, la donna aveva represso.
La degenza in casa di cura durò mesi e mesi. Poi finalmente il ritorno nella casa di sempre: quella con la facciata protetta da giardini aggrappati verticalmente, nell’immane sforzo di nascondere la grigia realtà della vita cittadina.
Eva era smagrita, sciupata, senza più un filo di trucco, tuttavia ancora fiera e decisa a riprendersi in mano la vita.
Volle ricominciare a curare il suo aspetto come prima dell’infausto malore e perciò, pur con un certo timore, consultò di nuovo il suo specchio.
L’amico fidato decise di mantener fede alla propria missione, svelò così con franchezza ciò che vedeva.
Scorgeva una donna dai lunghi capelli sparsi in maniera scomposta, un viso pulito, sorridente, disteso. Vestiva sportivo la donna e calzava scarpette prive di tacco. Alle sue spalle un signore in camice bianco si accingeva a baciarla sul collo – visione tenera, di autentico affetto. La donna gioiva di quella presenza tanto che si era voltata ad abbracciare quell’uomo, abbandonando in un angolo il suo zaino strapieno di documenti del proprio lavoro, appena interrotto.
Poco distante, alle spalle della coppia felice, lo specchio intravedeva alcuni giovani ragazzi: scherzavano gesticolando allegramente all’uscita da scuola; appena due di essi videro la coppia, si diressero correndo verso di loro chiamandoli mamma, papà aspettateci, stiamo arrivando, vogliamo venire con voi!

Ma cosa vedo là dentro, quella è l’immagine di Gloria e della sua vita, ma non è la mia collega in carne ed ossa; sono qui, davanti allo specchio, dovrei esserci io riflessa nel vetro, però non mi vedo, ma allora io dove sono, e Gloria dov’è veramente?! Eva smarrita, rimuginava questi pensieri atterrita.

Oscurò quello specchio con un drappo di stoffa credendo di essere stata ingannata e di poter solo così ritrovare sé stessa. Seguirono giorni di angoscia, ore e ore al buio, distesa su un letto a rivedere come in un film la propria esistenza passata.
Andando a ritroso nel tempo riviveva eventi pregnanti della sua vita di un tempo: lei studentessa, lei laureata, un matrimonio, un divorzio, Il desiderio di essere mamma, un aborto, l’attrazione fortissima per il collega più anziano, la proposta di lui, il proprio sofferto “no, non posso, eppure vorrei”.… E poi andando all’indietro, un padre severo che lancia sentenze, una mamma indulgente che la tiene per mano proteggendola dal suo smarrimento davanti ad un cagnolino che forse voleva azzannarla.
Arretrando, pian piano la profonda spirale di un’esistenza negata e sepolta ormai da chi sa quanto tempo, riavvolse le proprie volute, rivelando ad Eva la vera sé stessa.
Finalmente la donna riaprì le finestre per dare nuova luce alla casa, fu così che una folata di vento fece cadere il drappo di stoffa sopra lo specchio.
Eva vide allora chi era quella donna felice al di là di quel vetro: la sorridente, semplice immagine che rifletteva il suo amico fidato era lei per davvero.