I GIORNI DELLA MERLA

I giorni della merla si erano manifestati improvvisamente con tutto il loro freddo pungente, con le stalattiti di ghiaccio affilate come spade, pendenti dai rami degli alberi.

Tutto intorno spadroneggiava il grande bianco soffice e silenzioso della neve caduta copiosa da poco.

Soltanto gli abeti, giganti del bosco, potevano ancora permettersi di svettare verdeggiando su quel mondo candido, dondolando le chiome fluenti sui tronchi dritti verso il cielo.

Nessuna anima viva, eppure se osservavi il viottolo stretto che conduce alla fonte, potevi notare orme grandi ed uguali, non ne vedevi l’origine, non sapevi dove poteva finire il cammino.

In quel mondo incantato, il cacciatore incedeva a fatica, cercando invano la via del ritorno dopo una lunga giornata iniziata alle prime luci dell’alba in cerca di prede, fatica dimostratasi vana.

Era stato assalito da una tormenta proprio quando stava mirando a un batuffolo grigio nascosto fra sterpi secchi e foglie marcite, ma la cortina gelata di polvere bianca aveva deviato lo sparo e il batuffolo era fuggito.

Così l’uomo aveva riposto il fucile e con il carniere floscio di delusione, aveva ripreso il cammino di casa. Confidava nel proprio segugio, fedele compagno di tante avventure, per riprendere con sicurezza il sentiero che conduceva al paese, dove sognava il suo caldo camino e una bevanda rigenerante dopo la frustrante giornata. Ma il leale compagno, nonostante gli sforzi non riusciva a ritrovare la traccia di casa: la neve aveva sottratto all’olfatto ogni indizio.

Per questo motivo adesso l’uomo e il suo cane vagavano disorientati e spauriti, rassegnati a cercare un riparo notturno prima di tentare nuove piste, al mattino. Per fortuna c’era uno spicchio di luna a rischiarare l’incedere incerto dei due pellegrini che si tennero sulla stradina più inerpicata, ma da dove potevano avere un raggio di visuale più vasto; inoltre da lì entrambi sentivano un costante frusciare di acqua che scorreva invitante: forse si trattava della sorgente che nutre i tanti ruscelli del posto, unico appagamento della sete insistente che i due dispersi soffrivano.

Relativamente rassicurati dalla flebile luce lunare e dall’eventualità di potersi dissetare, i due compagni procedevano l’uno fiutando la soffice, bianca poltiglia, l’altro scrutando dentro il folto del bosco a cercare un anfratto sicuro.

Ad un tratto il segugio si piantò in mezzo alla strada, coda bassa, orecchi tremanti, muso proteso nel vuoto. C’erano due piccole luci che brillavano fisse a qualche metro da loro, se seguivi con gli occhi la serie di orme malcelate dalla neve che cadeva insistente, potevi arrivare al punto preciso da cui quel qualcuno o qualcosa stava spiando l’arrivo dei due pellegrini. Ci volle del tempo al cacciatore, per aver chiaro ciò che il cane aveva capito da subito: quei due punti gialli di luce altro non erano che gli occhi di un lupo.

Un ancestrale terrore afferrò l’uomo alla gola facendolo respirare a fatica, mentre memore dell’insegnamento degli avi, cercava di rimanersene immobilizzato sul posto sfidando così un sistema nervoso in pieno tumulto che faceva guizzare ogni nervo del corpo. Anche il cuore in un tale frangente faceva troppo rumore martellando nei polsi, alle tempie, nel petto con possente fragore.

Nel frattempo i due singolari lumini, aumentavano il loro diametro. Finché   svelarono un corpo vivente fra i dritti fusti degli abeti, inondato dalla fredda luce lunare. I piccoli occhi luminescenti apparivano circondati da una folta peluria grigiastra sormontata da brevi orecchi drizzati come fossero radar che conferiva a quella visione l’aspetto di uno splendido muso.

L’intensità dello sguardo del maestoso animale fermò il tempo in quell’attimo.

L’indagine di quei suoi piccoli occhi dritti come raggi di un laser potente, trapassavano intanto con inesorabile continuità le due anime annichilite.

Fu in quelle profonde ferite incruente che il lupo intuì la stessa paura dell’altro, di quello straniero, che percepiva dentro di sé.

Era un incontro alla pari, nessuno avrebbe potuto infierire sull’altro ma questo l’uomo non lo aveva ancora compreso.

Il lupo, coda abbassata, passo felpato, si avvicinava lento alla coppia, il cacciatore mise il dito sopra il grilletto e prese la mira, ma in quel momento il segugio capì le intenzioni vere del lupo, capì che come ogni cane, quel grande animale selvaggio aveva paura proprio di loro e che più che attaccare, avrebbe preferito fuggire. Allora il cane da caccia si frappose fra il lupo e il padrone impedendo che questo sparasse. Lo sguardo intenso del lupo incrociò quello dell’uomo: la connessione era perfetta: uguali paure, stesse speranze, analoghe aspirazioni.

Quella notte di freddo pungente, sotto la luce fioca di un quarto di luna, tre anime sperse trovarono insieme un rifugio.

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