A PROPOSITO DI STIMA

Da ormai troppo tempo in quella casa si respirava un’aria pesante, non c’era giorno che la domestica non dovesse riattaccare le tende che erano state strappate con rabbia, che non le toccasse smacchiare il pavimento delicato di marmo, con solventi dagli effluvi nauseabondi, nocivi per la cute delle sue mani, pur avvezze da tempo a sostanze aggressive; e tutto ciò perché la signora aveva rovesciato furiosa, il pranzo oppure il suo drink preferito.

Non c’era giorno che il servito di bicchieri in cristallo, non fosse privato barbaramente di un nuovo pezzo, sbattuto per terra con stizza.

Mia amata compagna– si affannava ogni volta a intervenire il marito –cos’hai che ancora non va? Lo sai che io ti ho creduto fin dal primo momento, lo sai che ho rintracciato quel ciarlatano e l’ho svergognato, riprenditi in mano la vita, incontra di nuovo con gioia le tue vecchie amiche, vedrai che non è come pensi, loro hanno stima sincera per te. Perché piangi in questa maniera per ore e non ti confidi almeno con me che sono il tuo miglior amico da sempre!

Ma il povero uomo non riceveva altra risposta che nuovi atti di stizza, che un fiume di lacrime.

Spesso la donna, dopo i suoi sempre più frequenti scatti d’ira, si poneva davanti alla grande vetrata del salone della propria casa, rimanendo immobile per ore a farsi inondare dalla luce che si accaniva sul suo volto perfetto. Allora le sembianze assumevano un aspetto rilassato, sognante, ogni asprezza veniva fugata, lei finalmente aveva trovato qualcosa che la domava.

Intanto di là dal vetro, nel grande giardino all’italiana che circondava la splendida casa, la vita scorreva sempre uguale e tranquilla nascondendo il reale tran tran quotidiano oltre il muro di cinta.

Tuttavia la donna sapeva benissimo quale fosse il vivere altrui là fuori il confine di tutti i suoi agi, anzi, spesso vi si era immersa fingendosi un’altra, una del popolo -diceva lei – una di quelle donnette che vanno a fare la spesa con i soldi contati e che vestono stracci del mercatino rionale.

Quello era stato da sempre il suo svago migliore, ciò la rendeva tranquilla, addirittura appagata ed era così che aveva incontrato persone diverse da lei, affascinanti tipi che le piaceva “divorare” come fossero un libro avvincente, tipi che la facevano ridere o piangere, con i quali giocava come se consistessero in bambolotti.

Aveva stretto amicizia con un tipo ai suoi occhi un po’ strampalato, un chiacchierone senza ritegno, appassionato a tal punto di ciò che lui stesso diceva, da ridere o piangere delle sue affermazioni secondo l’effetto che sul momento gli procuravano. Lei gli concedeva lunghe ore ad ascoltarlo, fingendosi rapita dai racconti che lui sciorinava, racconti di un vissuto lontano, spesso amaramente rimpianto, un insieme di ricordi appannati di viaggi, spese smodate, gioco d’azzardo…

Lei ascoltava con espressione di affettuosa commiserazione e poi, di gran fretta, lo salutava.

Una volta a casa, correva sotto la doccia (per togliermi di dosso il grigio della povertà – diceva), indossava l’ampia tuta di soffice pile o, in estate, di seta e subito sprofondava nella poltrona più comoda accanto al marito. A lui raccontava tutto ciò che aveva visto e ascoltato oltre il loro giardino, condividendo con l’uomo un senso sfrontato di appagamento per aver ottenuto una sorte migliore di quelli là fuori, spesso irridendo le loro miserie che a suo giudizio si erano andati cercando.

La speciale amicizia col narratore di vita, andava ormai avanti da mesi: ogni volta la donna scopriva un aspetto inedito di quel singolare soggetto che la inondava di storie, che non aspettava che lei perché, lui diceva, al mondo non aveva nessuno. Era stato così che era venuta a sapere che viveva in una casa modesta, un tempo stupenda: una torre del mille e trecento, ormai (ahimè), priva di mobili e qualunque altro arredo, pignorati per colpa del gioco del poker che lo aveva spolpato.

-Vuoi venire a vedere la mia “stupenda magione”? – le aveva proposto una volta l’uomo con tono sarcastico durante uno dei loro incontri presso la grande fontana nella piazza centrale.

La donna aveva accettato curiosa, scoprendo un’abitazione spoglia e triste, con pochi ritratti rimasti appesi alle pareti scrostate. Facevano mostra di sé una donna giovane e dall’aspetto curato, due bimbi sorridenti su una spiaggia assolata, un neonato dormiente nella sua culla.

Chi sono quelle persone dei ritratti? Aveva chiesto lei incuriosita.

Quella bella signora è mia moglie, una donna di facoltosa famiglia come anche io lo sono stato del resto; quei due bambini sono i miei figli, ormai adulti e entrambi con prole. Quanto vorrei poter condividere ancora la vita con loro, ma ormai mi hanno lasciato perché io ho tradito la loro fiducia e penso che ormai non mi accetteranno mai più!

– E il piccolino, chi è?

-Oh, quello è il mio nipotino adorato, lui è ignaro di come mi sono ridotto, quel bimbo tenero ama suo nonno semplicemente perché sa, in cuor suo, che un nonno è sempre un essere buono. Pensa che ogni mese ricevo una sua letterina con un disegno diverso, sai, ormai lui è un ometto, ha quasi otto anni!

L’uomo aveva nascosto a fatica grossi lacrimoni che traboccavano con impeto dai suoi occhi, mentre lei, altera, lo stava a sentire con freddo distacco.

L’algida signora aveva scoperto anche che quel derelitto possedeva soltanto due abiti logori e ormai fuori moda, ma ancora di grande valore perché erano capi firmati. Ogni volta, passando davanti a qualche vetrina, si rimirava accarezzandosi il petto, poi spesso scoppiava in una risata:

– Che elegante che sono, quanto mi piaccio!

Quel gesto dall’amaro sapore di rassegnazione, non veniva compreso dalla signora che replicava secca:

– Ma non lo vedi quanto sei fuori moda?!

Lui abbassava lo sguardo e cambiava discorso.

L’uomo non le aveva neanche nascosto di recarsi ancora in qualche bisca clandestina a tentare la fortuna come aveva fatto da giovane, anche se era perfettamente consapevole che facendo così cadeva sempre più in basso.

La donna lo aveva spinto a continuare nella consapevolezza di fargli del male, ma ansiosa di trovare così sempre più godimento negli errori di quel suo particolare trastullo.

Una volta rientrata nella propria realtà casalinga, puntualmente la perfida dama raccontava ogni particolare al proprio marito.

-Ma ti rendi conto, la sua casa è proprio un tugurio! Ha solo un letto ed un tavolo, gli hanno tagliato la luce, e vive senza riscaldamento! Se torno a trovarlo, scatto una foto, ci pensi che successone su Instagram se la postiamo?  Ah, ah che buffo pagliaccio in abiti del secolo scorso, mi viene da ridere solo a pensarlo.

Così, fra una frecciatina e una risata alle spalle del povero malato di gioco d’azzardo, passavano quelle serate che altrimenti non avrebbero avuto sapore, un intermezzo cinico fra un vernissage e una prima a teatro.

Un giorno però era avvenuto qualcosa che avrebbe confuso le vite di tutti, andando a interrompere quel precario equilibrio fra fortune e disgrazie, fra derisione e sofferto sorriso…

L’agiata donna si era dedicata al consueto allenamento nel proprio grande giardino per tenersi in forma: lo faceva ogni giorno perché – diceva – la bellezza richiede qualche sacrificio, se vuoi essere bella devi curare il tuo corpo e coccolarlo al meglio. E questa volta doveva apparire ancora più sfolgorante di sempre, se fosse stato possibile.

Quella sera infatti, avrebbe tenuto un ricevimento nella propria casa, proprio come a lei piaceva: -Per carità – esclamava spesso – non portatemi in un ristorante! Odio esser servita da quei manichini in guanti bianchi senza espressione, detesto quando lo chef mi decanta il suo piatto migliore e odio quelle candele maleodoranti in mezzo a ogni tavolo! Preferisco di gran lunga casa mia, dove decido io tutto e dove l’unico profumo che mi va di sentire è quello dei piatti che io stessa preparo.

Così, subito dopo l’ora di sport all’aperto si sarebbe messa nella propria moderna e attrezzata cucina e avrebbe preparato la cena per i suoi numerosi ospiti.

Alle otto della sera tutto era pronto e già stava arrivando qualche invitato: un avvocato, un medico, diversi imprenditori, qualche nobildonna e alcuni dirigenti di luoghi pubblici e privati; fra questi ultimi c’era un rispettabile signore che, pensionato di una banca di prestigio, si era proposto per l’assistenza ai bisognosi. Viste le competenze che possedeva, lo avevano inserito fra i più importanti responsabili della Caritas dove si occupava nello specifico dei pasti giornalieri per i poveri.

Era stato durante la piacevole conversazione attorno al tavolo imbandito, fra la portata delle carni bianche e quella dei formaggi che proprio il pensionato in questione, aveva procurato una svolta all’esistenza della padrona di casa.

La conversazione verteva sui disagi di tante persone del luogo e sull’opportunità di aiutarle nel miglior modo possibile sia come singoli cittadini, sia attraverso enti preposti a questo.

Naturalmente il pensionato, attuale dirigente dell’ente benefico, era al centro dell’attenzione e fu attraverso di lui che quella sera i convitati si fecero un quadro preciso degli indigenti in città, dei loro bisogni, delle caratteristiche che li diversificavano. Ne furono messe in piazza storie di vita, pregi, difetti che scatenarono una catasta di commiserazioni e di buoni propositi, sbandierati con evidente opportunismo.

Lusingato per l’inattesa popolarità che stava ottenendo, il pensionato si lasciò andare a copiose rivelazioni, che coloriva di fantasie subitanee grazie all’aiuto di qualche bicchiere di troppo.

Fu così che senza pudore, raccontò l’episodio che lasciò tutti di sasso e cambiò per sempre la vita della padrona di casa.

-C’è un tipo che viene ogni giorno a pranzo da noi; è un povero diavolo con un passato da ricco alle spalle ed è stato rovinato dal vizio del gioco. Attualmente è solo al mondo perché moglie e figli lo hanno abbandonato – a ragione dico io – perché nonostante tutte le sue disgrazie, continua imperterrito a giocare d’azzardo. Mi ha confidato che ti conosce bene, cara Gloria Maria, che tu sei diventata la sua unica amica, che…Si avvicinò all’orecchio della donna parlando con un filo di voce – Quando a casa sua vi amate, tu sei straordinaria!

Gloria Maria sbiancò senza riuscire a proferire parola, guardò atterrita il volto dei propri invitati che cercavano di distogliere lo sguardo da lei con malcelato imbarazzo: nonostante il basso tono di voce, avevano sentito tutto.

Da quell’istante nessuno avrebbe mai più potuto avere stima di lei.

Si alzò di scatto chiudendosi in camera a chiave.

L’imbarazzo maggiore fu però per il marito, che non credeva ai suoi orecchi: la amava troppo e sapeva di essere amato, così decise di non condividere una sola parola di quanto aveva sentito e di aiutare la sua cara moglie a dimostrare la propria innocenza.

Nelle settimane che seguirono, Gloria Maria si confidò a lungo con l’uomo della propria vita ammettendo ciò che per lui era evidente da tempo e che in fondo li accomunava: il bisogno meschino di prendersi gioco degli altri illudendoli con false manifestazioni di amicizia, e poi dicendone male alle spalle.

Non si trattava di malafede per loro, ma solo di un gioco per fugare momenti di noia, passatempi del tutto innocenti.

Erano azioni che rimanevano fine a sé stesse, in fondo per quelle persone derise c’era anche sincera commiserazione e rispetto, ma ciò non doveva essere detto, faceva parte del gioco.  

L’agiato uomo d’affari aveva anche incontrato il povero diavolo dedito al gioco chiarendo con lui l’accaduto.

-L’ho detto soltanto per mettermi in mostra, chiedo perdono se ancora una volta ho sbagliato. Lei può stare tranquillo caro signore, mi autopunisco andando via da ciò che ho di più caro: la mia casa ormai disadorna, ma dove ho vissuto con i miei affetti per me tuttora preziosi che sono mia moglie, i miei figli. Ormai non mi resta più nulla.ma voglio che lei sappia una cosa: sono soltanto loro che amo.

Insomma ci volle del tempo, ma sembrava che tutto si fosse appianato.

Anche gli amici, sollecitamente informati del malinteso, avevano messo una pietra su quanto avevano udito alla cena e si dicevano ben felici di condividere nuove serate con Gloria Maria.

Eppure lei continuava a disperarsi, a scattare con ira senza apparenti motivi, a piangere lacrime e lacrime, senza spiegarne il perché.

Fu nel momento più inatteso, durante una breve passeggiata in quella piazza con la fontana nel mezzo, che finalmente Gloria Maria aprì tutto il suo cuore.

-Questa vicenda dalla quale sono uscita vincente agli occhi di tutti, mi ha portato a riflettere sulla mia vita; mi sono guardata allo specchio e ho visto una me che non conoscevo, mi sono accorta che “quella” non è ciò che sono, quella è una donna altruista, sincera, che si commuove davvero per i problemi degli altri, che se qualcuno ha bisogno, lo aiuta, una donna che chiede perdono se sbaglia, che soffre se vede qualcuno soffrire.

Io non sono così, io non ho pietà per nessuno. Dovrei essere io a chiedere scusa a quell’uomo distrutto che per colpa mia adesso non ha più il suo bene prezioso: la sua casa dove lì, lo sapevo, c’erano i suoi affetti più cari. Non avrà più la consolazione delle lettere del nipotino, perché a quell’indirizzo non ci sarà più nessuno…

Per questo motivo piango a dirotto, perché io,io non mi stimo.

Adesso tutto era chiaro.

Ci volle poco al marito di Gloria Maria per rintracciare quell’uomo che aveva tanto sbagliato. Viveva alla Caritas dove ogni tanto il nipotino lo andava a trovare accompagnato in segreto dal giovane padre che aveva amore per quel suo genitore debole e emarginato.

I due coniugi facoltosi convinsero l’uomo ad accettare l’offerta di trasferirsi a vivere  nella loro abitazione per condividere insieme la propria agiatezza, offerta che fu accettata con entusiasmo sincero: –Verrò volentieri in una casa che sento essere amica, ad un patto: che io possa scrivere tutte le storie che ho già raccontato  a Gloria Maria e tante e tante altre ancora. Grazie a voi potrò condividerle con molte persone e perché no, pubblicarle; in fondo narrare è sempre stata la mia unica grande passione.

Da allora la grande casa circondata dal verde, immenso giardino, ebbe un motivo di più per essere vasta e piena di sole: oltre a un lui e ad una lei adesso ospitava un nonno felice che spesso incontrava il nipotino vivace e il proprio amorevole figlio.

…Ma soltanto quando aveva un ritaglio di tempo, perché gran parte delle ore e dei giorni li dedicava a scrivere storie come aveva da sempre desiderato nei suoi sogni.

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