FLUIDITA’

Erwitt: “Puerto Rico, 1957“
Ancora qua, ancora insieme.
Questo non è un semplice luogo, questa è la vita stessa che si manifesta nel suo fluire sempre nuovo, che collega il passato e il futuro, che viene dalla certezza annebbiata del remoto, si sofferma soltanto un attimo nel presente e subito corre verso l’ignoto.
Osservando questa apparente calma piatta, l’anima si distende, apprestandosi a dialogare ancora con il compagno di sempre.
Così l’età dell’uomo e della donna adesso perdono d’importanza, il mare è lì, a riportare a riva tutti i loro anni, con le risate, i crucci, le avventure…
Quel mare è il luogo dove ciascuno deposita sé stesso; quel mare è il custode di mille e mille anime diverse, riserva a ognuno un’intensità inedita di azzurro, sa adeguare il suo odore ad ogni naso, modula l’intensità del salmastro rendendolo più o meno marcato, a seconda del suo interlocutore.
Erano arrivati ancora una volta fin lì, dove l’asciutto granuloso e diseguale della sabbia si incontra con l’acqua trasformandosi in fanghiglia scivolosa, scura, limbo di singolari creature con le valve opalescenti spalancate, esseri gelatinosi come tanti arcobaleni sfatti e poi rami e assi annerite, stoffe lacere, un tempo onorevoli vestiti.
Luogo ideale per i due che avevano già vissuto tanto e che tanta parte della propria vita avevano condiviso con il mare.
Era d’autunno, la pioggerella fine si confondeva con l’umidità che risaliva dal basso, da quel terreno ancora tiepido per l’ultimo sole appena tramontato. L’aria salmastra, appiccicosa, si fissava sui due corpi amalgamandoli al contesto marino e includendoli di fatto nell’eternità del fluire delle onde.
Fu così che il cielo si riempì di luce, la spiaggia fu invasa da tante persone festanti, bambini con paletta e secchiello, cagnolini a scavare una buca, loro due erano in mezzo alla gente, stupiti di quell’ambiente scoperto da poco, la pelle già nera unta di crema, impanata a farli sembrare due cotolette spadellate al momento. Entrambi i cuori battevano di meraviglia per la scoperta di una rara conchiglia o per la cattura di uno sgargiante paguro che adesso annaspava sulle pareti del secchiello di plastica.
Ed eccoli entrambi a correre verso le onde, un brivido intenso e gli schizzi, in bocca il sapore del sale, l’irrefrenabile gioia di galleggiare…
Quando l’onda si infranse sulla battigia, depose la coppia sul bagnasciuga, era il tramonto e una luce rossastra si rifletteva sull’acqua, in cielo la palla incandescente del sole veniva ghermita da nuvole sempre più cupe che la costringevano a una fuga veloce dietro alture lontane. Furono invasi da una dolcezza infinita finché fra i due giovani innamorati scoccò il primo bacio. Il mare emetteva un suono gioioso sciabordando ritmicamente allo stesso tempo dei cuori.
Ma subito un’onda aggressiva li travolse e avviluppandoli con determinazione, li fece rotolare di nuovo sulla sabbia calda dell’estate piena.
Si ritrovarono a conversare con i vicini d’ombrellone, anch’essi genitori di due bimbi piccoli, amici dei loro. Gli occhi fissi sulla battigia a sorvegliare i piccoli, mentre un venditore di borse col marchio contraffatto lanciava la sua offerta allettante. Il diniego, la risposta acida del mercante che suonava come una maledizione e “avanti un altro”, ce n’erano a bizzeffe di allettanti occasioni!
Alla coppia però, poco importava di come andavano le contrattazioni, volevano soltanto godere appieno di quel sole, dell’aria sapida, del fresco dell’acqua capace di rendere felici grandi e piccini. Era un momento di appagamento pieno.
Travolti nel vortice spumoso, prolungarono il loro godimento nel ruolo di nonni premurosi. Quel bimbo piccolo, che tanto somigliava a loro, li rendeva euforici. Tornarono a costruire castelli di sabbia, a tracciare piste infinite dove gareggiare con macchinine e biglie, Condivisero capricci e marachelle, scoprendosi oltremodo indulgenti: il mare li accoglieva come sempre e come era stato da quando lo avevano incontrato, il fluire eterno dell’acqua dava loro la sicurezza di una continuità che aveva lo stesso rumore della risacca, lo stesso profumo del mare.
Per questo motivo anche adesso che un’onda più forte li aveva sospinti fra le creature incerte del limbo, provavano un’impagabile felicità: la loro esistenza restava eterna dentro le onde, bastava osservare, rimanere in silenzio per connettere l’anima al mare.
Eterni viandanti di noi stessi, non esiste altro paesaggio se non quello che siamo suggerisce Pessoa.
Nel nostro eterno divenire, noi siamo lo stesso mare.
Certe volte una debole acquerugiola ci sorprende dall’alto mentre ci bagniamo i piedi a riva e ci fa aprire l’ombrello, ma non è altro che un vezzo, una metafora che ci fa capire che quando ci immergiamo nel paesaggio che è la stessa nostra vita, di sicuro si è protetti dalla vacuità.