CECITA’ GUARITA
Lo aveva incontrato nella bottega del fornaio del paese.
Quegli occhi scurissimi brillavano tanto che accecavano chi li incrociava anche solo per un attimo mentre si spostavano agilmente all’interno delle due piccole fessure allungate scavate nel giovane volto.
Il figlio del fornaio aveva capelli corvini folti e mossi che incorniciavano ammorbidendolo, un volto ossuto, dalla mascella pronunciata e dal naso aquilino. Aveva poco più di vent’anni, ma a lei pareva un uomo fatto, maturo, un uomo a cui arrendersi se mai lui avesse voluto tentare l’approccio.
Era il 1924 anche per quella terra sperduta del Sud di un’Italia smarrita nel delirio fascista, ma qui il cambiamento era soltanto la cronaca di un mondo lontano, erano le nuove divise che circolavano per le strade, ma tutto rimaneva lontano, fuori dalle mura di quella realtà ancora medioevale.
La quindicenne Raffaella abitava in una casa di tufo assieme ai genitori e agli otto fratelli, tre femmine e cinque maschi. Era l’ultima delle bambine, la sesta nell’ordine generale delle nascite.
Il capofamiglia era un anziano bracciante stagionale analfabeta, cresciuto all’ombra incombente del proprio padre dal quale aveva assorbito ogni regola di vita. L’uomo gestiva moglie e figli in qualità di plenipotenziario, esigendo che fosse esaudita ogni sua volontà senza discussioni…
La madre, piccola, dimessa, silente, subiva senza reagire offese ed angherie quotidiane.
Raffaella viveva in quel cosmo protetto dalla vita di fuori sapendo in cuor suo che avrebbe calcato le orme di mamma in un giorno non molto lontano. Intanto aspettava il suo uomo, quello che il padre le avrebbe indicato. Nel frattempo in famiglia aveva un ruolo abbastanza gradito: fare la spesa con tre spiccioli in mano e un monito in testa, pesante come un macigno “vai dritta, sguardo a terra e passo spedito, non parlare mai con nessuno”.
Fu in questo contesto che avvenne l’incontro con Biagio, ragazzo di ricca famiglia con forno e casa in campagna.
Il divario fra i due pareva un invalicabile abisso, due ceti lontani, due mondi diversi. In realtà tuttavia, la famiglia del ricco fornaio si fondava sui medesimi canoni di quella di lei, con lo stesso padre padrone, con la madre passiva, con i figli al servizio del genitore.
Ma lui, maschio, diversamente da lei, aveva potuto studiare fino alla Quinta, poteva uscire da solo o assieme a gli amici, poteva alzare lo sguardo su tutto e su tutti, poteva parlare con tutti di tutto…
La giovane donna entrava spesso in quella bottega che trovava davvero accogliente, profumata di pane appena sfornato, ricolma di dolci e dolcetti gustosi.
E poi c’era lui che la inchiodava al suo sguardo, che lei, trasgredendo, fissava sfacciata.
Lui un giorno mise un biglietto nella busta del pane: “Ti voglio, sei mia, domani incontriamoci alle otto presso le Quattro Colonne e fuggiamo insieme”.
Quando lo lesse, Raffaella rimase impietrita, spiazzata; mille sensazioni diverse, opposte fra loro, abitarono a un tratto il suo corpo: fiducia e diffidenza; appagamento e scontento; gioia e tristezza…
La ragazza si incamminò verso casa con le gambe malferme, non propriamente sicura di vivere un sogno o la pura realtà, nascondendo stretto nel pugno quel “sacro biglietto”. Il suo cuore batteva impazzito solo al pensiero di quale sventura avrebbe subito se suo padre l’avesse scoperta: certo l’avrebbe picchiata, umiliata, disconosciuta per sempre.
Raffaella stava affrontando la più pericolosa delle tempeste ma come una nave ben governata, sentiva che avrebbe lottato con determinazione e forza per poter realizzare quella favola bella d’amore approdando al suo uomo.
Arrivò così il momento più atteso. Era caldo quel giorno d’estate e il sudore dell’ansia si univa al sudore generato dal sole.
Si incontrarono a un passo dal mare, presso i grandi torrioni testimoni dei fatti del luogo da sempre. Adesso custodi discreti della “fuitina” dei due giovani amanti.
Furono attimi di estasi pura, di gioia infinita, furono l’attrazione sviante verso le buie, devastanti, negatività della vita futura e ancora ignorata.
Vennero accolti nella casa di lui con distaccata freddezza, così com’era stabilito da sempre dall’indiscusso codice chissà da quanti secoli tramandato. Per le stesse leggi la ragazza venne ripudiata dal padre: disonorata, doveva pagare la colpa, riparare”. Ma Raffaella era ugualmente appagata, quel giovane ragazzo dal fisico prestante, dallo sguardo fiero, la coccolava e proteggeva, lei si sentiva felicemente sua.
Ma quando dopo le nozze arrivò il primo figlio, tutto cambiò, il suo Biagio affettuoso e dolce si trasformò in breve in un indifferente fruitore dei servigi della ragazza, lei rimase chiusa in quella casa non sua ad accudire il bambino, i suoceri e lui, proprio come già aveva fatto sua madre. Lui se ne andava a lavoro al mattino e tornava la sera, all’ora di cena, spesso un po’ alticcio, talvolta del tutto ubriaco. Allora diventava violento: urlava e trattava la giovane donna con male parole, le faceva osservare con forza che lui era il padrone.
Lei cominciò ad incupirsi, a stare sempre più male mentre intanto la prole cresceva: ogni anno un bambino, ogni volta un nuovo motivo per restare isolata.
Intanto là fuori il fascismo imperava e premiava la coppia che onorava il regime con nuovi futuri soldati.
Per questo motivo lui si sentiva importante, faceva il gradasso con tutti mentre la giovane donna era sempre meno considerata.
Nel ’40 Biagio partì per l’Albania in vista della guerra alla Grecia, così come il Duce comandava e lasciò lei con i sei figlioletti e il forno ogni giorno da aprire. Per Raffaella fu un periodo di duro lavoro, ma il sollievo fu tanto senza quel marito-padrone che soffocava ogni suo movimento che le impediva anche di avere un pensiero.
Durante quell’anno di separazione le arrivavano sporadicamente notizie di Biagio che confermavano il disagio immenso di quelle truppe tenute a bada dai Greci. Poi l’intervento tedesco e il rientro delle truppe italiane: pochi soldati superstiti molti dei quali feriti, con i vestiti logori, affamati. Fra loro Biagio, un volto emaciato e spaurito fra gli altri.
Raffaella lo accolse con doveroso entusiasmo, lo curò calmando il vorace appetito, finche lui ritornò il ragazzo robusto e piacente di quando era partito.
Anche il carattere riemerse purtroppo con tutte le sue asperità esercitando le antiche prevaricazioni sulla giovane moglie e i numerosi figli. Intorno frattanto imperversava la guerra mentre il Fascismo si andava aggrappando a consensi sempre meno scontati. Anche Biagio sembrava un gerarca fascista al comando di una famiglia impaurita. Intanto il più grande dei figli, Ninì, sopportava sempre di meno quel padre padrone e fremeva auspicando in cuor suo un’occasione per potersene andare.
Fu lo sbarco in Sicilia delle truppe alleate a spodestare il potere del Duce, a rendere vana la forza accentratrice del potere di Biagio sulla propria famiglia. Ninì si aggregò alle truppe salvifiche, disconoscendo il veto del padre, proprio lui, il primogenito: fu il tracollo del capofamiglia che definì l’accaduto “la più grande disgrazia”. Purtroppo a fare le spese di questo accaduto fu proprio la giovane moglie su cui l’uomo riversò con violenza tutto il suo malcontento durante gli altri due anni a venire.
La pace arrivò per tutta l’Italia insperata e improvvisa dopo altri anni di stenti e miserie grazie ai nostri alleati e a tutti quei giovani che come Ninì avevano sognato e combattuto per la Liberazione.
Contemporaneamente anche per Raffaella arrivarono giustizia e pace: il figlio primogenito ritornò a casa con nuova energia, forte delle esperienze e conoscenze fatte durante il tempo della Resistenza, teneva adesso testa al proprio padre distruggendone con forza ogni sicurezza ormai del tutto anacronistica determinata da pregiudizi atavici.
Parlava di diritti umani, di libertà per tutti, di protezione per i più deboli, del rispetto dovuto alle donne, proprio allo stesso modo che agli uomini…
Ninì portò in quella sua famiglia il seme di una nuova coscienza e fu così che il padre mutò per gradi il proprio atteggiamento aprendosi al mondo con miglior disposizione di quanto non avesse fatto prima. Raffaella ebbe l’opportunità, subito afferrata al volo, di esprimere sé stessa in libertà, di esporre i suoi punti di vista, di esternare i propri desideri e soprattutto di essere ascoltata con rispetto.
Colei che aveva accettato ciecamente la vita che si presentava senza mai reagire credendo che tutto ciò che le veniva inflitto fosse giusto, adesso per la prima volta prese possesso della sua persona e finalmente riuscì a vedere e vivere la propria dignità .